Un nostro lettore ci scrive: “Corrono tempi impegnativi col Coronavirus, nemico delle persone ma anche dei “sistemi” … Penso che molti di noi abbiano riflettuto su questo fenomeno per capirlo e circoscriverlo nel tempo… Che cosa ne sarà di noi?”.

A corredo della sua domanda ci segnala l’articolo di Daniele Manca, “Il motore segreto (e ignorato) della crescita” – L’Economia del Corriere, 31 ottobre 2020:

Un dato positivo la crescita del Pil italiano nel terzo trimestre di quest’anno così difficile. [… ] La Confcommercio prevedeva un più 10,6%, si è andati oltre il 16,1%. Un dato che deve far riflettere. Soprattutto la politica. Ci sono state immediate reazioni da parte delle forze della maggioranza che hanno subito voluto legare il buon risultato alle politiche del governo. Può darsi. Di sicuro invece c’è il fatto che consumatori e in misura molto maggiore le imprese, sono i veri protagonisti di questo rimbalzo. Si sono viste aziende che nel giro di poche settimane hanno modificato le loro produzioni alla luce delle mutate condizioni economiche e della pandemia. [… ] Semmai questa crescita c’è stata nonostante le scelte non fatte dalla politica sulla burocrazia che ci costa quasi 150 miliardi l’anno [… ] Oggi alla politica va chiesto di non crogiolarsi in quel 16,1%, agevolare l’economia e le aziende, affinché quel dato possa essere l’inizio della ripresa e non effimero rimbalzo.

Nel commento del nostro lettore – dott. ing. Sandro Ambrosi, Eurograf – rileviamo “Possiamo anche ripensare alla famosa legge della fisica: a ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria. Abbiamo avuto una grande dimostrazione di questa legge: la famosa ripresa dei Trenta Gloriosi (Anni ‘50-‘70) dopo la Seconda Guerra Mondiale … Sarà così anche per il coronavirus?
E prosegue: “Proviamo a fare un’ipotesi di lavoro: questa fase molto acuta dovrà certamente finire, diciamo a primavera 2021, dopodiché vedremo la luce alla fine del tunnel, la speranza, e anche una dose di scienza e saggezza, ci renderanno pronti per una ripresa generale. Nel frattempo continuiamo a lavorare per migliorare il nostro PIL e, a giugno luglio del 2021, avremo conferma del nostro realismo o meno.”

Troppo ottimismo?

Purtroppo non ci sentiamo di condividere in toto questo ottimismo, sperando di sbagliare. Vediamo perché.

Il paragone con il 1945 non può reggere perché oggi la società è cambiata molto. Nel ’45 si usciva da 5 anni di guerra e di sacrifici. C’era molta voglia di riprendere in mano uno Stato che da oltre vent’anni aveva eliminato ogni libertà. E c’era una classe dirigente nuova temprata dai lunghi anni di lotta. Una popolazione che che aveva sopportato tante difficoltà, che aveva dovuto rinunciare a ben altro che aperitivi. Che rammendava i calzini e rivoltava i cappotti. Tutti. Anche la buona borghesia.
Oggi veniamo da un ventennio e da una TV spazzatura che ci insegna che va tutto bene, che non è necessario rimboccarsi le maniche, e che quel che conta sono lo struscio serale e amenità varie.
Domina il PIL. E la crisi del 2008-2011 non ci ha insegnato nulla.

Non guardiamo indietro

In più, come abbiamo sottolineato nei precedenti editoriali estivi, si parla troppo e si medita poco. La ‘reazione uguale e contraria’ è una regola della meccanica classica (e già per quella quantistica vale meno) e la lasciamo al nostro amico ingegnere, perché la vita sociale è più vicina alla imponderabilità quantistica, che alle sicurezze della meccanica.

Primo, piuttosto che guardare indietro è preferibile guardare avanti.
Secondo, non sappiamo se nella primavera 2021 sarà tutto finito. Non sappiamo quando arriverà un altro virus più pericoloso di questo. O altri problemi altrettanto gravi: carenza e inquinamento dell’acqua; inquinamento irreversibile dell’aria; distruzione della biodiversità.

Tutti problemi di cui si parla, e che si tenta di affrontare, ma che restano troppo confinati nelle discussioni tra istituzioni e anche – va dato loro merito – alcune associazioni industriali, quelle della nostra filiera in primo piano, ma poco a livello pratico della ‘vita di officina’.

Molti pensano che una politica ‘green’ sia un lusso inutile (USA fino a oggi e Brasile insegnano).
Si pensa che il rispetto per l’ambiente (e per la società) sia un costo. E si dimentica che invece può essere una opportunità.

Non solo salvare, ma trasformare

Il nostro lettore ci parla di PIL. Ma il denaro non basta. Solo ciò che ha un prezzo ha un valore? Basti un esempio: se si aumenta il PIL a scapito dell’immissione di CO2 (che comporta un costo) non si ha aumento reale del PIL.
Se si distribuisce denaro a pioggia non è vero che si salva l’economia. Per salvarla bisogna trasformare i settori destinati agli aiuti portandoli a far parte di una nuova economia. Quindi, non solo salvare il settore, ma trasformarlo.

Il covid-19 rende urgente un rinnovamento economico orientato all’innovazione: quando i mercati falliscono non si deve correggerli o, peggio, finanziarli. Ma ri-crearli, plasmarli.

Dobbiamo avere una diversa idea di futuro: non dare denaro perché non si lavori, ma perché si produca. Perché l’imprenditorialità non tornerà alla normalità del quo ante. Occorre quindi guardare oltre la semplice gestione della crisi, come si sta facendo ora (e non solo in Italia, sia inteso).

Perché oltre la pandemia c’è all’orizzonte la prossima crisi: il clima, ed è una sfida che dobbiamo affrontare, volenti e nolenti.

Concludiamo citando una proposta di ricercatori di Università britanniche, USA e altre, che purtroppo difficilmente sarà adottata in Italia. Approfonditi studi hanno dimostrato che sarebbe molto produttivo sia a breve che a lungo termine, anziché un ‘reddito di cittadinanza’, il ‘dividendo di cittadinanza‘.

Il Public Job Programme (PJP ) : creare lavori socialmente utili per i disoccupati. Offrire posti di lavoro in aree critiche (in Italia non mancano) per guidare l’economia verso una transizione ‘verde’. Aree emergenti: manutenzioni (boschi, corsi d’acqua, pulizia spiagge…); operazioni che riducano gli sprechi, favorendo riutilizzo e riciclo. Il denaro speso per i redditi di cittadinanza, potrebbe essere meglio utilizzato per promuovere programmi di formazione, che favorirebbero poi il passaggio all’impiego nel settore privato. È anche evidente che con il PJP si incrementerebbero i consumi.
E quindi, come piace al nostro amico ingegnere, anche il PIL.

L’immagine in alto, ”Umuntu ngumuntu ngabantu”, testualmente ”io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”, concettualizza l’esortazione al sostegno e all’aiuto reciproco, giungendo ad auspicare una concretizzazione di pace a favore dell’intera umanità.