Giornate senza particolari impegni e tanto tempo per pensare − si può fare sotto un ombrellone, ma molto meglio sotto un albero in ambiente fresco e ventilato − mi hanno dato la possibilità di meditare su ciò che accade intorno a noi. E mi limito a in raggio ristretto: il nostro Belpaese.

Ascoltando le parole del premio Nobel (per la medicina) Mario Capecchi − italiano ma solo di nascita e per metà, essendo dovuto fuggire nel ’45 dopo aver vissuto due anni da bambino sulla strada, abbandonato dal padre (italiano) e dai genitori adottivi cui fu affidato quando la madre (americana) fu internata a Dachau − ho la conferma che l’Italia è un Paese ricco di fantasia, creatività e, a volte persino di intelligenza.
Purtroppo però, chi ci ha sempre governato ha fatto di tutto per tarpare le ali ai migliori cervelli. Nomi quali Enrico Fermi, Rita Levi Montalcini, Mario Dulbecco, Carlo Rubbia e migliaia di altri che per diventare qualcuno hanno dovuto lasciare l’Italia, la dicono lunga e confermano che qui da noi non si può fare sul serio.

Ma perché questo? Semplice: chi ci governa rappresenta la maggioranza di noi italiani. Una maggioranza che in fatto di fantasia e creatività ne ha molta, ma che non dimostra certo intelligenza intesa nel senso di ‘visione di lunga portata, di senso del civismo e del bene comune’. Siamo individualisti, danneggiando non solo gli altri ma anche noi stessi.

Ferragosto è stato dominato dai fatti ILVA, ognuno ha detto la sua. Ma se vogliamo sintetizzare al massimo basta questo: un’azienda privata ha ricevuto fondi per evitare di danneggiare l’ambiente, ma non li ha utilizzati. E prima ancora, quando le acciaierie erano di proprietà dello stato nulla è stato fatto per anni da chi ne aveva la possibilità e l’onere, perché la fabbrica fosse messa in sicurezza e con essa i lavoratori e quelli che in quell’area industriale devono vivere. D’altro canto è una prerogativa dello Stato (nostro) quella di fare le leggi “perché gli altri le rispettino”. La memoria mi torna infatti a quando fu approvato il D.Lgs. 626/94 per la “sicurezza nei luoghi di lavoro”. Ebbene, mentre per i settori delle attività private (e, guarda caso, anche le tipografie) le leggi contenute nel Decreto dovevano essere applicate nel senso più restrittivo, quante delle attività del settore pubblico (scuole, caserme della polizia, caserme dei pompieri, strutture giudiziarie e penitenziarie) furono “messe in sicurezza”? E dove sono finite la “pari dignità sociale” e la“uguaglianza davanti alla legge” che tutti i cittadini italiani dovrebbero avere in ottemperanza all’art. 3 della nostra Costituzione?
Ora si grida allo scandalo perché dei magistrati osano difendere la salute pubblica e il governo dei tecnici corre in qualche modo, tardivamente, ai ripari.
Ma ben sappiamo quanto poco i governi italiani siano lungimiranti: volete un esempio? Mai vogliono finanziare la ricerca e la cultura, uniche sicure fonti di ricchezza per il futuro di un Paese, soprattutto di un Paese povero di materie prime agricole e minerarie. Si preferisce essere miopi e vivere alla giornata. E pensare che puntando su cultura e turismo aumenterebbe la richiesta di stampati…
Ma, del resto, quanti sono gli imprenditori che hanno una visione completamente diversa? Molti, certo, ma sono sempre una minoranza rispetto alla massa degli italiani che preferiscono vivere alla giornata, bearsi davanti a una TV becera e lasciarsi condurre da chi degnamente li rappresenta. E lo dice persino Fabio Capello in quest’intervista a Repubblica.

Sono pensieri da ombrellone, vero, ma che rispecchiano un senso di estrema delusione per quanto non fanno quelli che sono stati chiamati a fare. E tra questi, non ce ne vogliano, includiamo anche, nel loro piccolo, i presidenti di associazioni industriali a noi vicine: sentiamo da anni sempre le stesse lamentele, gli stessi pseudo-provvedimenti, richieste cadute nel vuoto e intanto i settori interessati vanno alla deriva. O no?