La Banca europea per gli investimenti (Bei) ha pubblicato il Report sulla digitalizzazione, che riassume i principali risultati per il 2020 dello European Investment Bank Investment Survey (Eibis), un sondaggio annuale che raccoglie informazioni su circa 13.500 imprese nei 27 paesi dell’Unione Europea, nel Regno Unito e negli Usa. Non male l’Italia ma le piccole imprese sono ancora restìe, e senza una corretta digitalizzazione resterebbero troppo indietro nella concorrenza.

Dal rapporto Eibis emerge come le imprese europee siano generalmente ancora in ritardo nell’adozione di tecnologie digitali: solo il 63% delle società nell’UE ha implementato qualche tipo di tecnologia digitale, contro il 73% negli Usa. Vi è tuttavia molta eterogeneità: alcuni Paesi hanno tassi di digitalizzazione simili o superiori a quello statunitense, mentre altri sono ben al di sotto della media europea. Tra questi l’Italia.

Digitalizzarsi per crescere

Gran parte dell’occupazione in Italia e in particolare nell’industria grafica, si circoscritta in imprese di piccole e medie dimensioni, con tassi di digitalizzazione bassi, e hanno difficoltà a crescere. Per queste il processo di digitalizzazione stenta ad affermarsi. Eppure anche nei nostri comparti sarebbe importante ripensare alla propria organizzazione, anche se si è piccoli. Per sperare di crescere.

Nei settori in cui l’Italia è avanti rispetto alla media europea, come quello delle infrastrutture, si registra un numero di medie e grandi imprese elevato.
In Italia, le imprese di medie e grandi dimensioni hanno un tasso di digitalizzazione intorno all’80%, e tra le grandi imprese più della metà ha adottato almeno una tecnologia digitale. Le piccole imprese hanno invece un tasso di digitalizzazione inferiore al 50%, e il 60% di microimprese non ha alcuna tecnologia digitale.

Più digitale più occupazione

La transizione digitale è invece importante, come mostrano i dati dell’Eibis: le imprese che si sono digitalizzate investono in ricerca e sviluppo, innovano di più, sono maggiormente produttive e più votate all’ esportazione. Contrariamente a quanto si può pensare, le imprese più innovative contribuiscono alla crescita dell’occupazione, mentre le imprese poco digitalizzate sono più soggette alla eliminazione di posti di lavoro.

Secondo gli studi della BEI, la digitalizzazione è una delle strade più efficaci per risolvere la stagnazione della produttività, e un’importante arma per affrontare la trasformazione delle attività economiche che caratterizzerà il periodo post-pandemico.

Le imprese digitalizzate investono maggiormente nel capitale umano dei propri dipendenti, offrendo loro training con maggiore frequenza. Incentivare la digitalizzazione potrebbe dunque contribuire a un generale miglioramento delle abilità dei lavoratori italiani, che a sua volta contribuirebbe alla trasformazione digitale. Un recente studio afferma che agire sulla quantità e la qualità del capitale umano è la scelta più naturale ed efficace per dare una spinta alla digitalizzazione.

Eibis stima infine, che le imprese digitali sono meglio amministrate perché è più probabile che abbiano un sistema di monitoraggio delle attività strategiche e prevedano un sistema di pagamento che tiene conto anche della performance dei dipendenti.

Dopo la pandemia

La transizione digitale come strumento per migliorare la resilienza ed efficienza delle PMI più vulnerabili a crisi di mercato, è un altro aspetto considerato dallo studio. Tra i settori non strategici per affrontare il Covid, le imprese meno digitalizzate hanno sofferto maggiormente la pandemia.

La crisi pandemica rappresenta quindi allo stesso tempo un’opportunità e un pericolo. Da un lato, ha palesato la necessità di accelerare la transizione digitale, dimostrando l’importanza della digitalizzazione.
Sempre secondo i dati dell’Eibis, le imprese italiane hanno segnalato in larga parte di voler aumentare il proprio utilizzo di tecnologie digitali in futuro e solo raramente dichiarato di dover ridurre permanentemente il proprio numero di dipendenti a causa del Covid.
La pandemia rischia di inasprire ancora di più il cosiddetto digital divide, aumentando la distanza tra imprese digitali e non digitali. Queste ultime, infatti, sembrano essere meno convinte dell’importanza futura della digitalizzazione (solo una piccola impresa su tre dichiara che aumenterà il proprio utilizzo di tecnologie digitali, contro il 50% circa di quelle digitali) e riportano un impatto maggiore del Covid sull’occupazione.

Maggiori informazione e commenti sullo studio Eibis, consultare Competere.it.