Aprile è il mese dei fuori-salone, degli incontri, e di esposizioni, in cui su temi differenti che spaziano dal packaging, all’abbigliamento e al design, si punta il dito sulla sostenibilità.

Finché ci si limita a parlarne, però, i risultati non si vedono. Che il pianeta stia correndo seri pericoli di un inquinamento in cui si superi la soglia del non ritorno è un dato di fatto. Solo chi non ha a cuore le future generazioni si gira dall’altra parte o si limita a parlare.

Plastica demonizzata

Nel nostro ambito, quando ne parliamo, ci invitano a non demonizzare la plastica.
Certo se parliamo di industria del packaging e quindi della filiera della stampa e confezionamento, è rischioso accusare la plastica di causare la morte di delfini, balene, capodogli. Ma anche di uccelli e mammiferi terrestri. Quindi non si deve dirlo troppo ad alta voce.

La plastica, ci assicurano gli esperti, non è di per sé responsabile di tutto questo.

E lo dimostrano, dicendo che oggi si fa sempre più utilizzo di plastica biodegradabile e persino compostabile. Ci dicono anche che le materie plastiche incenerite, purché secondo le regole, non inquinano. Questo perché i gas nocivi (diossina e altri) vengono raccolti e smaltiti a parte).

Possiamo accettare che tutto questo sia vero. Ma c’è un ma. Qual è la percentuale di plastica usata negli imballaggi realmente biodegradabile e compostabile. Nessuno ci fornisce dati certi. Quale la percentuale della plastica bruciata ‘secondo le regole’? Nessuno ci dà dati certi.

Intanto vediamo pouch vuoti, imballi di merendine, sacchetti di patatine, sulle strade, nei prati, e persino in alta montagna. E in mare.
Ci dicono che è una questione di educazione. Certo. Ma a chi il compito di educare?
In un articolo da poco pubblicato abbiamo riferito di una iniziativa lodevole di gruppi che dedicano domeniche e ‘ripulire la natura’.

L’esempio nel tessile

Come contraltare sono sempre più numerose le grandi aziende che realmente hanno preso a cuore questo problema. Il primo Denim Day cui abbiamo assistito il 12 aprile presso la Itema di Colzate – importante azienda produttrice di innovative macchine per tessitura – ci conforta. Qui, alla presenza di operatori tessili provenienti da tutto il mondo – oriente in particolare – si è discusso a fondo di sostenibilità reale. Meno consumo d’acqua, utilizzo di fibre sintetiche sempre più biodegradabili. Evitare, o quanto meno ridurre al massimo, l’emissione di microfibre plastiche (oltremodo dannose anche nelle acque di falda).
In parallelo, e restando nello stesso settore, apre al Museo Ferragamo di Firenze, la mostra Sustainable Thinking. Mostra, workshop, laboratori di artisti, in cui gli stilisti si sono concentrati sul riutilizzo creativo. Recupero di materie plastiche da riutilizzare in opere d’arte, ma anche in prodotti pratici. In architettura come in prodotti si uso industriale.

Non possiamo tralasciare di citare, quella che fu l’idea di una singola semplice persona che trasformò il prato davanti alla propria casa di campagna – nella valle del Metauro proprio di fronte a Urbino – in una esposizione permanente di oggetti d’arte ricavati esclusivamente da materiali di recupero. Rifiuti. Di questo Parco Pacifico avevamo parlato a suo tempo e ci piace ricordarlo qui, a 18 mesi dalla scomparsa del suo ideatore, che per realizzarlo coinvolse una trentina di artisti.