Togliete i libri alle donne e torneranno a far figli. Questa frase, apparsa qualche anno fa su Libero, in relazione al dibattito sulla natalità, la dice lunga.
A quanto pare il genere femminile avrebbe smesso di procreare perché ha scoperto il piacere della lettura.
Purtroppo questo rappresenta un pensiero ahimé diffuso e che negli anni non si è modificato. La società continua a essere maschilista e misogina e riserva alla donna il ruolo di moglie e madre, facendo emergere il retaggio del passato in cui il padrone di casa e signore era l’uomo.
Anche oggi, in maniera diversa, il ‘possesso’ torna a galla, ma occorre che ci interroghiamo sul motivo che lo scatena.
La comunicazione si sta appiattendo, si dialoga sempre meno e si disimpara a farlo perché si ricorre sempre di più all’ausilio dei social e di WhatsApp, con tutte le abbreviazioni (e aberrazioni) che ne conseguono.
La lingua si sta impoverendo e senza capacità di esprimersi non c’è pensiero e senza pensiero si ricorre alla violenza, che diventa il mezzo per comunicare gli stati d’animo.
Ma chi ha scritto quella frase infelice non sa o non capisce, o finge di farlo, che una donna smette di procreare non perché si dedica alla lettura, ma perché nell’attuale società e con le regole in vigore, una donna non può permettersi il lusso di diventare madre se vuole lavorare, o meglio, non le è permesso realizzarsi professionalmente proprio in quanto madre.
Un caso tipico
Trent’anni fa la frase di rito rivolta alle ragazze durante i colloqui di lavoro era: “è sposata?”. Se si superava questo step, arrivava quella successiva: “ha figli?”. Qual era la risposta giusta?
In realtà non ce n’è mai stata una corretta, perché se si hanno figli non va bene, poiché si ammalano e non si può garantire una presenza costante al lavoro e se non se ne hanno, è ancora peggio, perché potrebbero arrivare. E allora come la gestiremmo la maternità e l’assenza dal lavoro?
Ti sposi? Sta’ a casa
Ricordo in modo limpido che quando, una ventina di anni fa, comunicai al mio datore di lavoro che avevo appena saputo di aspettare un bambino, la prima domanda che mi fece fu: “hai pensato a chi ti sostituirà?”. La professione che avevo scelto era la mia passione [confacente con la sua laurea in Scienze e Arti della Stampa – ndr] e nonostante fossi capace e un valore aggiunto per l’azienda, ebbi la “sventura” di diventare madre. Fui dapprima convocata in corso di maternità per riprendere il rapporto di lavoro a part-time e due mesi dopo, licenziata con una bugia che era una bufala bella e buona. Mi comunicò al telefono che mi aveva spedito la lettera. Che corretto! Era marito e padre, quindi non si può pensare che non sapesse quali fossero i problemi che una donna affronta in quel frangente. Come andò a finire a lui dopo qualche anno, ve lo risparmio. Però il karma prima o dopo arriva.
A me la situazione fortificò e mi diede lo spunto per fare ciò per cui ero portata, alzando l’asticella delle capacità, cosa che non avrei avuto il tempo e il modo di fare se fossi rimasta a lavorare in quel luogo, che pure ‒ e nonostante tutto ‒ mi piaceva moltissimo.
La donna non ha la forza muscolare di un uomo, ma la resilienza e la forza di spirito sono di gran lunga superiori. Lo racconto in uno dei miei libri: “La più autentica soddisfazione”, che ha anche vinto un Concorso Letterario, premiato con la pubblicazione [un romanzo breve, intelligente e commovente che consiglio di leggere, anche agli uomini – ndr].
Sono donna, madre, moglie, leggo, scrivo e lavoro. E in famiglia nessuno si lamenta. Cari uomini, provate a fare altrettanto.
PS: l’Autrice oltre a tutto quanto descrive qui, ha avuto l’esigenza di occuparsi anche della madre affetta dal morbo di Alzheimer, che ha descritto in un altro romanzo già qui citato e su cui dovremo tornare – ndr.
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